Testi a cura di Lionello Archetti Maestri
Cattedrale
Venne edificata su iniziativa del vescovo Primo (989 – 1018) e consacrata nel 1067 a Maria Assunta dal successore San Guido, venerato come santo patrono della città e della diocesi. L’edificio a croce latina, in origine con tre navate, ha in gran parte conservato le strutture architettoniche romaniche di ispirazione francese caratterizzate dallo slancio verticale e dall’articolata planimetria. Dalla parte absidale tale slancio è particolarmente apprezzabile; delle originarie cinque absidi sussistono integre le tre centrali. L’interno, in origine in pietra a vista, venne intonacato nel 1587; intorno al 1668 risalgono gli stucchi e gli affreschi del coro. Alla fine del XVIII secolo fu eretta la navata a mezzogiorno. Il fronte del presbiterio venne modificato con l’eliminazione dell’originario scalone centrale tra il 1845 e il 1848 in occasione del rifacimento dell’intera pavimentazione. Nel 1863 il pittore Pietro Ivaldi il “Muto” ultima gli affreschi delle volte. Meritano attenzione, all’interno, a destra il frammento dell’affresco del primo Cinquecento con l’immagine di Santa Chiara e, in controfacciata, l’organo costruito da Guglielmo Bianchi e dallo stesso ampliato nel 1885. Il monumentale pulpito ottocentesco racchiude parte dei marmi rinascimentali che in origine ornavano gli altari propri della famiglia Carmaglieri. Nel presbiterio la settecentesca cappella del SS. Sacramento, quella del SS. Rosario la cui volta è abbellita da finissimi stucchi rococò. Il coro, è decorato da stucchi barocchi che incorniciano gli affreschi dipinti nel 1668 da Giovanni Monevi, cui si deve la coeva pala dell’Assunzione della Vergine. L’altare maggiore, 1865, come il pulpito conserva marmi quattro–cinquecenteschi provenienti da altre cappelle smantellate della Cattedrale. Segue la cappella dell’Immacolata Concezione, infine – nel braccio sinistro del transetto – la cappella del patrono San Guido, sull’altare barocco la pala (1645) del genovese David Corte raffigurante il Santo che intercede presso la Madonna per Acqui. In questa cappella vengono commemorati anche i santi della diocesi: San Paolo della Croce, Santa Maria Mazzarello, Beata Teresa Bracco e Beata Chiara Badano. Nella navata di ponente la cappella della Madonna delle Grazie in stile neo-rinascimentale ed infine l’elegante Battistero (ultimo quarto del XVIII secolo) opera dell’architetto Nicolis di Robilant.
Piazza
La sua prima attestazione risale al 1209 anche se l’origine è contestuale alla Cattedrale. Con la costruzione, all’angolo sud-est del palazzo del Comune – ultimato nel 1281 e demolito a metà del XVIII secolo per realizzare l’ex Seminario maggiore (eretto su progetto di Bernardo Vittone tra il 1755 e il 1772 – la piazza inizia ad assumere l’attuale fisionomia.
Da sinistra, guardando la Cattedrale, il lato nord è delimitato dal palazzo dei Carmaglieri (1585) il cui portico, realizzato nel 1832, funge da collegamento con l’ex Seminario minore, già monastero benedettino di Santa Caterina (secolo XVI), dove ha sede la Biblioteca vescovile.
Dopo via Barone, già via delle Monache, il Battistero (1570) con cui termina la quarta navata costruita nel 1452. Il campanile venne ultimato nel 1479, il portale maggiore è del 1481, il rosone risale al 1530 ed il vestibolo “pronao” fu eretto nel 1613. Proseguendo incontriamo la Canonica edificata nel 1495 come ricordato dall’iscrizione in facciata. L’edifico porticato a destra, in antico detto “la manica dei forestieri” in quanto destinata agli ospiti del presule, collega il palazzo vescovile con la Canonica. Sulla parete vennero murati i frammenti di un paliotto quattrocentesco con le effigi di santi tra cui San Guido. L’episcopio iniziato dopo il 1440 verrà ultimato verso la fine del secolo; il suo volume, verso ovest, sarà raddoppiato nel 1592.
Liberamente tratto da Acqui Terme. Guida storico-artistica di Gianni Rebora, De Ferrari, 1998.
Liberamente tratto da Acqui Terme.Guida storico-artistica di Gianni Rebora, De Ferrari, 1998.
Cripta
“Una foresta di colonnine” è la frequente metafora con cui si identifica la cripta – sotto il presbiterio notevolmente rialzato – estesa anche in corrispondenza dei bracci del transetto che ha sostanzialmente mantenuto il suo aspetto originario. Con quella del germanico Duomo di Spira rappresenta un unicum altamente suggestivo. Dopo la Conciliazione vi vennero tumulati i più recenti successori di San Guido proprio intorno all’arca di origine romana che per secoli ospitò le reliquie del Patrono. Accanto ai notevoli frammenti romani riimpiegati si ammira l’affresco quattrocentesco di Sant’ Antonio ai cui piedi è rappresentato un maialino con la caratteristica cinta.
Liberamente tratto da Acqui Terme. Guida storico-artistica di Gianni Rebora, De Ferrari, 1998.
Chiostro
Nel 1495 venne ultimato, ad opera del vescovo Costantino Marenco, il chiostro dei Canonici; sono anteriori – circa 1440 – le parti scultoree del loggiato superiore a sud. Nel chiostro vennero raccolti frammenti marmorei cinquecenteschi di smembrate cappelle quali i bassorilievi di San Sebastiano e San Rocco, come pure una parte del capo di un possente leone stiloforo.
Liberamente tratto da Acqui Terme. Guida storico-artistica di Gianni Rebora, De Ferrari, 1998.
Trittico

Nell’aula del Capitolo – riedificata nel 1734 – e conosciuta anche come Sacrestia dei Canonici sono conservati la pala di San Guido e i quattro Dottori opera lombarda del 1496, L’Annunciazione di David Corte ed il trittico (olio su tavola di pioppo) della Madonna del Monserrato, capolavoro del pittore spagnolo Bartolomé [Bartolomeo] de Cárdenas alias Bartolomé Bermejo o Rubeus, commissionato intorno al 1480 da Francesco Della Chiesa facoltoso mercante acquese. Si tratta di una delle sue rare opere firmate: sul cartiglio ai piedi della Vergine leggiamo infatti “ihs [Iesus Hominum Salvator] Bartolomeus Rubeus”.
Bartolomé de Cárdenas, nato a Cordova nel 1440 e morto a Barcellona dopo il 1498, fu il maggior esponente della pittura ispano-fiamminga. Il soprannome, con cui si firmava l’artista, Bermejo oppure Rubeus fa riferimento al colore dei capelli dell’artista: rosso vermiglio in spagnolo bermellón, in latino rubeus. Nel XV secolo determinante fu l’influsso esercitato dall’arte dei Paesi Bassi, ai quali la Spagna era legata da solidi rapporti commerciali. L’incontro tra la religiosità spagnola e l’attenzione naturalistica al dettaglio, tipica dell’arte fiamminga, resa possibile dall’utilizzo della pittura a olio, portò alla nascita dello stile detto ispano-fiammingo. L’opera, come si verificava spesso allora, non è tutta autografa del Bermejo, sicuramente hanno collaborato – per le parti marginali – gli allievi della sua bottega. L’artista, sovente inadempiente per rispettare i tempi delle consegne relative ai molteplici impegni assunti, anche in questo caso si affidò al laboratorio di Rodrigo de Osona il Viejo (vecchio) e del figlio Francisco de Osona il Joven (giovane). A questi ultimi si possono attribuire con certezza – considerando il divario stilistico ed i risultati chiaramente inferiori – i registri superiori delle ali: la Nascita della Vergine e la Presentazione di Gesù al Tempio e la purificazione di Maria.
Francesco Della Chiesa è documentato a Valencia tra il 1476 e il 1492, città dove si era stabilito come commerciante tra queste località e Savona, e in cui venne sepolto. «Nell’atto notarile del notaio acquese Antonio Aceto, datato 22 agosto 1533 – scrive il dott. Gianni Rebora, cui va il merito della scoperta nell’Archivio di Stato di Alessandria – si afferma che l’allora defunto Francesco Della Chiesa fu Domenico, cittadino acquese, un tempo dimorante a Valencia in Spagna, ove fu anche sepolto, dispose con volontà testamentaria che i suoi eredi universali, il fratello Giuliano e i di lui figli Domenico e Pietro Francesco, fossero tenuti a costruire e dotare una cappella dedicata alla Madonna di Montserrat nel Duomo di Acqui, per la quale lo stesso Francesco procurò di trasmettere da Valencia “… unam anchonam, seu retablum …”» ossia una pala d’altare. Si può ipotizzare che il committente – sopravvissuto, grazie all’intercessione della Madonna di Montserrat, alla pestilenza in cui morì la seconda moglie –abbia voluto con questo retablo adempiere al voto a suo tempo espresso.
Nel 1987 il trittico venne restaurato, presso il laboratorio del prof. Nicola ad Aramengo (AT) sotto il controllo della Soprintendenza per l’archeologia, le belle arti ed il paesaggio, grazie al contributo del Lions Club Acqui Terme Host su iniziativa dell’allora Presidente dottor Giandomenico Bocchiotti.
Ad ali chiuse, dipinta a grisaille, l’Annunciazione.
Ad ali aperte: Al centro, nel momento dell’alba, l’immagine della Madonna con la corona ed il manto regale che tiene in braccio Gesù bambino con lo sguardo rivolto verso un cardellino legato ad un filo. La Vergine è seduta su uno scranno – non visibile – cui è appoggiata una sega da boscaiolo che richiama il luogo dove sorge il santuario (Montserrat, in latino mons serratus, “monte seghettato); in basso alla sua destra (sinistra di chi guarda) il committente (Francesco Della Chiesa), alle sue spalle sulla sinistra (destra per chi guarda) l’immagine ideale del monastero di Monserrato. Sullo sfondo un braccio di mare con imbarcazioni alla rada davanti ad una non identificabile città.
Nell’ala destra, per chi guarda, in alto la nascita della Vergine. In basso il patrono del committente San Francesco d’Assisi che riceve le stimmate durante la preghiera sul Monte della Verna da Cristo – che gli appare in forma di serafino (gli angeli più vicini a Dio) – alla presenza di frate Leone, suo compagno inseparabile.
Nell’ala sinistra, per chi guarda, in alto la Presentazione di Gesù al Tempio e la purificazione di Maria. In basso San Sebastiano – il capo circondato dal nimbo – con in mano le frecce, simbolo del suo martirio, in veste di cavaliere che ha sul fianco la spada, segno della sua carica: comandante della guardia dell’imperatore Diocleziano.
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